Nati dopo l’89

Sono passati ormai trent’anni dal crollo del Muro di Berlino. Da allora, la Germania è immensamente cambiata. E una nuova generazione si è affacciata sulla scena: quella dei giovani nati dopo la caduta del Muro. Cosa pensano dell’89? Che percezione hanno delle due Germanie? E di quella odierna, al centro dell’Europa a sua volta riunificata? Glielo abbiamo chiesto dal vivo, incontrandoli a Dresda, una città dell’ex Ddr ancora avvolta da una certa mentalità dell’est, e a Bonn, il tipico centro ricco dell’ovest tedesco, nonché l’ex capitale della Germania occidentale.

 

Nati dopo l’89 – così si chiama il progetto – è sostenuto dal Goethe-Institut Italien (GI). Si fonda sue due pilastri: un reportage in quattro puntate e una mostra per immagini e parole. Tutte le info nella pagina madre del progetto: www.goethe.de/italia/generazionepostmuro

 

Interviste di Matteo Tacconi | Ritratti di Ignacio Maria Coccia

 

 

NEWS · MOSTRE

 

Wiebke Bickhardt
Coreografa, 28

 

«Per me la Ddr è storia passata, ma per mio marito, che è nato negli anni Settanta, rappresenta un pezzo della sua infanzia».

«Credo che dopo la wende, la svolta dell’89, la gente abbia nutrito grandi speranze verso il futuro, ma in parte sono state deluse o non si sono avverate. La nascita di Pegida (il movimento xenofobo con base a Dresda) è legata a queste frustrazioni».

 

Philip Werner
Architetto, 23

 

«Credo che sia molto importante vivere in uno spazio caratterizzato da libertà, qual è l’Europa, ma personalmente l’ho capito davvero solo quando ho visto le fatiche burocratiche che un mio amico, di nazionalità albanese, deve affrontare per vivere qui in Germania. In quel momento ho compreso i privilegi che mi spettano come cittadino europeo. Prima, essendo acquisiti, non ne realizzano appieno il valore».

 

Eva Weissman
Architetto, 25

 

«Sin da ragazzi siamo immersi nella storia della Ddr, soprattutto per via dei racconti dei nostri nonni e dei nostri genitori. Faccio un esempio: qui si dice sempre “prima della wende”, “dopo la wende”. La svolta dell’89 è percepita come un crinale tra un prima e un dopo. E questo modo di guardare al tempo è nella testa di tutti. In ciò, vedo differenze profonde con i miei coetanei dell’ovest. In loro, forse, questo modo di ragionare è meno accentuato».

 

Rico Hoffman
Barista, 22

 

«L’est si lamenta perché ha di meno rispetto all’ovest. La gente lì sta meglio, guadagna di più, ma è pur vero che la vita ha costi maggiori. Personalmente, non capisco queste polemiche. Io ho avuto una bella infanzia, un tetto, un letto, da mangiare. Non recrimino».

«Ho parenti nel Brandeburgo, vivono a Francoforte sull’Oder, sulla frontiera con la Polonia. La domenica, quando mi capita di andarli a trovare, attraversiamo il confine e facciamo un giro di là. È un atto pieno di significato, ma ormai acquisito. Sarà ancora più bello quando in futuro, attraversando una frontiera europea, non ci accorgeremo più della sua esistenza».

 

Marem Mosler
Studentessa, 20

 

«Il 15 marzo ho preso parte per la prima volta a un Fridays for Future. Non si può più andare avanti così. Non voglio dare la colpa a qualcuno in particolare, e non credo che il capitalismo sia per forza di cose incompatibile con l’ecologia. A ogni modo, sento che è venuto il momento di agire. Inizio da Dresda, ma sono consapevole che il global warming è un problema mondiale. È anche un modo, per noi giovani, quasi mai chiamati in causa, di fare politica».

 

Judith Beckerdorf
Musicista, 27

 

«Sono di Amburgo, e quando mi sono trasferita a Dresda non ho di certo pensato “Oh no, sto andando nella ex Germania Est”. Ormai tra noi giovani non ci sono muri nella testa. Qui a Dresda trovo un po’ di differenze con Amburgo, comunque sia, per esempio a livello architettonico: di grandi condomini come quelli costruiti durante il periodo comunista, ad Amburgo non ce ne sono. E poi, forse, la mentalità della gente di Dresda è un po’ più chiusa, diffidente. Ma dire che non dipende dal fatto che qui siamo nell’est, quanto piuttosto dalla nostra indole tedesca!».

 

Paul Oldenberg
Attore, 28

 

«Quando ero piccolo, i miei genitori mi dicevano che ero “il bimbo della riunificazione”, perché nacqui il 25 ottobre del 1990, pochi giorni dopo la riunificazione formale tra le due Germanie, sancita il 3 ottobre. Per diverso tempo ho pensato che la mia nascita fosse il vero motivo per cui il Paese si fosse riunito!».

 

Anne-Kathrin Hartmann
Truccatrice teatrale, 23

 

«Qualcuno ha ancora il Muro nella testa, ma non è il mio caso. Non vedo grandi fossati tra oriente e occidente del Paese. Percepisco di più le spaccature all’interno di singole realtà, per esempio tra quartieri ricchi e poveri di una città. Nella stessa Dresda abbiamo il centro e i nuovi distretti, dove abita la gente benestante, dove ci sono negozi e servizi, ma abbiamo anche Gorbitz e Prohlis (due quartieri sviluppatisi al tempo del comunismo, nda): lì la gente vive in condomini grandi e vecchi, e non penso conduca una vita privilegiata».

 

Hermine Molle
Dipendente museale, 1995

 

«Ognuno di noi ha in sé qualcosa della Ddr, perché i nostri genitori vissero in quel Paese, e di quel Paese ci hanno trasmesso qualcosa. Nel mio caso, ho ricevuto la virtù della pazienza. Nella Ddr dovevi averne molta. Per esempio, se volevo un’auto la ottenevi dopo anni di attesa. E se dovevi cambiare un pezzo, passava diverso tempo».

 

David Zühlke
Social media manager, 1995

 

«La stampa, quando parla di Dresda, tratta sempre il tema Pegida. Ma qui c’è anche gente molto aperta, che crede nell’Europa e vede chiaramente i problemi rappresentati dalla Brexit, da Trump e dal global warming. Prendiamo il fiume Elba, per esempio. Anni fa, d’inverno era sempre ghiacciato. Ora non più. La gente di Dresda lo nota, capisce il problema e cerca di assumere l’iniziativa».

 

Hannah Stegmeier 
Studentessa, 18 

 

«Vedo la Germania come un solo Paese, anche se percepisco una differenza tra est e ovest. Non riguarda l’eredità della guerra fredda, ma l’approccio all’immigrazione. A ovest siamo abituati all’immigrazione, da decenni. A est lo sono di meno, e forse è per via di questo che nel corso degli ultimi anni sono emersi fenomeni di intolleranza».

 

Samrand Tschupani
Studente, 19

 

«I miei genitori sono dell’Iran, io sono nato e cresciuto in Germania. Porto in me queste due culture, e credo sia una cosa importante, bella. Solo che a volte qui in Germania vengo visto come un iraniano, mentre in Iran vedono soprattutto il mio lato tedesco. Nonostante questo, sono contento di essere entrambe queste cose».

 

Paul Heße
Studente, 18

 

«Noi dell’ovest veniamo chiamati Wessi, quelli dell’est sono definiti Ossi. Sono termini scherzosi, ma a volte tradiscono dei pregiudizi. Per un Ossi, il Wessi è un individuo snob. Per un Wessi, un Ossi è una persona poco istruita, volgare. Tra i due termini, quello che ha accezione più negativa è Ossi».

 

Peter Mehn
Analista di mercato, 22

 

«Sono nato in Ungheria, e da piccolo ho vissuto lì. Quando sul mercato uscirono gli smartphone, da noi non arrivarono subito. Passarono due o tre anni. In Germania, invece, furono immediatamente disponibili. Sono le piccole cose come queste che mi fanno pensare alla differenze tra l’Europa occidentale e quella centro-orientale, al fatto che in quest’ultima c’è ancora un po’ di retaggio post-comunista».

«Ho preso la cittadinanza tedesca nel 2015, a sette anni di distanza dalla presentazione della domanda. Mi riconosco sia nella mentalità tedesca che in quella ungherese. Sul lavoro e per le cose burocratiche sono più tedesco; nelle relazioni sociali sono più ungherese».

 

Daniel Friesen
Guida turistica, 29

 

«I nostri giornali e le nostre memorie sono dominate dalla prospettiva dell’ovest. A ovest, la conoscenza della vicenda dell’est non va in profondità».

«Ho ovviamente amici dell’est. A volte discutiamo di Germania occidentale e di Germania orientale. Il confronto è sempre interessante. Una volta un mio amico dell’est mi ha detto: “Entrambe le Germania, nel dopoguerra, ebbero un forte bisogno di manodopera. Voi risolveste il problema importando lavoratori stranieri, noi occupando, e dunque emancipando, le donne. A ogni modo, direi che tra noi ragazzi dell’ovest e dell’est non ci sono grandi differenze. La principale è l’accento!».

 

Joshua Bung
Giornalista, 29

 

«Il peso della divisione tedesca si sente ancora. Credo ci vorranno due generazioni per farlo scomparire. Esistono comunque processi che possono favorire un amalgama maggiore tra est e ovest. Penso all’impegno crescente dei giovani per l’ambiente. In Germania la classe politica sta manifestando attenzione per le istanze ecologiste espresse dalla mia generazione».

 

Claas Luttgens
Studente, 22

 

«I miei genitori hanno un amico che fuggì dalla Ddr negli anni ’70. Veniva da un paesino rurale. Durante gli studi, ebbe problemi politici. Cercò di scappare, ma fu preso. Andò in carcere. Tentò ancora la fuga, e gli andò bene. Oggi è ingegnere, e ha una visione politica che non riesco a condividere. Per lui libertà significa arricchirti e magari comprare un’auto costosa, e poco importa che sia inquinante. Non sono d’accordo con lui, però capisco quanto fosse difficile vivere nella Ddr, con tutta quell’oppressione e quella sorveglianza».

 

Felix Cassel
Studente, 23

 

«La caduta del Muro è stato un fatto grandioso, e ha avuto un impatto enorme sulla storia della mia famiglia. I miei nonni erano di Königsberg, che passò all’Urss dopo la guerra, divenendo Kaliningrad. Furono espulsi, e ripararono nella Ddr. Oggi viviamo tutti in un solo Paese».

«L’Europa di oggi è molto burocratica e molto focalizzata sull’economia. La gente non si sente parte del processo decisionale, non capisce il funzionamento dell’Ue, è troppo distante, troppo complicato. L’Europa senza frontiere mi sta bene, è un’ottima cosa. Ma non ci può limitare solo a questo, non si può pensare che l’Europa sia una cosa positiva soltanto perché si viaggia senza visto da un Paese all’altro».

 

Matthias Buchholz
Guida del museo sulla storia tedesca, 25

 


«All’inizio, i visitatori di una certa età, che hanno vissuto l’epoca della divisione tedesca, mi guardano e – sicuramente – pensano: “E chi è questo giovane? Come può raccontarci qualcosa che non ha visto? Come può parlarci della nostra storia?”. Però al termine della visita si ricredono, e dicono: “Wow, è stato interessante ascoltare la sua prospettiva”. E la mia prospettiva è che devo trasmettere le sensazioni vissute dai tedeschi durante la guerra fredda attraverso la solida conoscenza della storia. Perché tutto ciò che è storia può essere qualcosa di vivo. La storia non è mai troppo lontana».